Furore

Elaborazione di un'emozione nella seconda metà del Cinquecento

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Per molti secoli la vendetta e la faida si costituirono come un vero e proprio sistema giuridico e consuetudinario, il cui fine era quello di assicurare la pace e gli equilibri sociali nell’ambito di comunità segnate dai conflitti e dalla competizione per l’acquisizione delle risorse economiche e la gestione di valori culturali come l’onore e il prestigio politico. Nel XVI secolo tale sistema era ancora in vigore nell’ambito di una aristocrazia come quella vicentina, protesa ad affermare la centralità della propria immagine e del proprio ruolo sociale. Esponente di rilievo di questo ceto, Giangiorgio Trissino fu investito traumaticamente dalla forte conflittualità accesasi tra i due figli Giulio e Ciro, avuti rispettivamente da Giovanna e Bianca Trissino, appartenenti a un altro ramo dell’antico lignaggio. Nel 1576 Ciro venne ucciso da un gruppo di sicari mascherati inviati dai parenti della prima moglie di Giangiorgio. Queste pagine si soffermano sulla vendetta a lungo meditata da Marcantonio, il più giovane figlio di Ciro, che nel 1583 uccise sorprendentemente colui che tutta la città indicava come l’autore dell’omicidio del padre. Una vendetta realizzata nel segno del furore, un’emozione razionalmente interiorizzata, che legittimava l’uso della violenza e il ricorso al sistema della vendetta, declinato tra la forza delle consuetudini e le ritualità processuali legittimate ad avvalorarle.

  • Anno: 2015
  • Formato: 15 x 21 cm
  • Pagine: 112
  • Illustrazioni: a colori e in B/N
  • Rilegatura: brossura
  • ISBN: 9788883148026
  • Prezzo: 14,00 €